Guiseppe Lanci: The Shape of Light (Italian Version)

Giuseppe Lanci: Le Forme della Luce

by Roberto Aita Volume 5, Issue 6 / November 2001 6 minutes (1360 words)

Giuseppe Lanci (Roma, 1942) esordisce come direttore della fotografia nel 1977, dopo un tirocinio come assistente operatore ed operatore di macchina (tra gli altri in Strategia del Ragno (1970) di Bertolucci). Sua è la direzione della fotografia dei film dei più stimati registi italiani, con alcuni dei quali ha stretto un vero e proprio sodalizio: è il caso, ad esempio, di Marco Bellocchio, delle cui opere dirige la fotografia a partire da Salto nel vuoto (1979). Lavora inoltre con il regista russo Andreij Tarkovskij per Nostalghia (1983), e poi con Roberto Benigni, Daniele Luchetti, Liliana Cavani, Pasquale Pozzessere. Lanci ha girato inoltre gli ultimi quattro film di Nanni Moretti, da Palombella Rossa (1988) a La Stanza del Figlio (2000). Abbiamo incontrato Giuseppe Lanci a Palermo, in occasione di un seminario di cinque giorni organizzato dalla Regione Sicilia su Le Forme della Luce, che ha visto la partecipazione di oltre un centinaio di studenti, filmaker e cinefili provenienti da tutta Italia.

Come è cambiata la fotografia nel cinema negli ultimi trent’anni ?

Ho fatto il Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma nel periodo in cui c’era la Nouvelle Vague. Vedevamo la fotografia di questi film così diversi da un certo cinema che si faceva nel dopoguerra e fino agli inizi degli anni sessanta, film che si erano liberati da tante catene. Anche il montaggio era un montaggio molto più libero, ed i registi – Godard in testa – cercavano una maggiore libertà anche nel modo di riprendere, giravano con la macchina a mano e con luce ambiente – o in modo che sembrasse tale – con finestre sfondate, ecc… Quindi una libertà assoluta sia di movimento di macchina che di apparati di illuminazione, anche se bisogna dire che le pellicole di allora avevano una sensibilità abbastanza bassa rispetto ad oggi; io ho girato Salto nel Vuoto con una 100 ASA, adesso in interni si usa tranquillamente la 500 ASA. Di questo periodo il nome più importante a livello europeo è senza dubbio quello di Raoul Coutard.

E nel nostro paese ?

In Italia si faceva ancora una fotografia di stampo più classico, mi riferisco a colleghi come Carboni, Martelli – che ha lavorato con Fellini fino alla Dolce Vita – e nel frattempo uscivano dei direttori di fotografia nuovi che portavano idee differenti, come Gianni Di Venanzio, soprattutto nel bianco e nero. Quel bianco e nero però, al di là della bellezza proprio estetica delle immagini, aveva una qualità caratteristica che era quella di legare l’illuminazione all’atmosfera, all’ambiente. Quindi da quel momento forse la fotografia ha acquistato un significato più importante, di completa simbiosi con il film che si doveva raccontare.

Può l’incontro tra un regista ed un direttore di fotografia influire sulla carriera di uno o dell’altro ?

Durante il seminario ho citato l’esempio dell’incontro tra Pasolini e Tonino Delli Colli per Accattone, un incontro tra un buon direttore di fotografia e un grande poeta…Da quel momento Tonino è diventato uno straordinario professionista, forse il più grande che abbiamo avuto nel dopoguerra. Nel cinema di Fellini d’altro canto, a partire da Otto e mezzo con l’arrivo di Gianni Di Venanzio, c’è stata senza dubbio una svolta decisiva …

Ci sono dei film o dei registi che l’hanno particolarmente impressionato?

Il rapporto con Andreij Tarkovskij per Nostalghia sicuramente è stato per me un evento che ancora oggi ricordo con emozione. Mi è capitato di incontrare negli anni dei colleghi che mi hanno confidato di aver deciso di diventare direttori di fotografia dopo aver visto quel film, o dei registi che hanno deciso di entrare nel cinema proprio grazie a Nostalghia. Un ragazzo brasiliano ad esempio un giorno è capitato a casa mia, aveva visto Nostalghia, e aveva deciso di venire in Italia a fare cinema…Quindi è stato un film importante per molte persone, e molto di più per me che ho avuto la fortuna di lavorare con Andreij per un anno.

Andrei Tarkovsky

Come vi siete conosciuti ?

E’ stato quasi un caso. Lui cercava un direttore di fotografia giovane, quindi disponibile anche mentalmente a questa avventura, e da varie fonti gli è arrivato il mio nome. Un mio amico che parlava russo e aveva studiato cinema in Russia- poi diventò aiuto regista in Nostalghia – mi presentò ad Andreij… Ricordo che telefonò e mi disse che Tarkovskij mi voleva conoscere; ci vedemmo in Piazza Navona per prendere un the insieme, e alla fine di questo incontro lui tirò fuori una sceneggiatura e me la diede… sento ancora adesso l’emozione di quel momento.

Ci può parlare della fotografia dinamica di Nostalghia ?

Andrej mi disse che il cinema utilizzava il tempo come elemento narrativo, mentre la fotografia di norma resta costante durante tutto l’arco di una sequenza. La fotografia dinamica sfrutta proprio il tempo per dare una consistenza diversa al film. Un esempio è nella natura con le condizioni atmosferiche: se in una giornata nuvolosa ad un certo momento esce il sole si modificano le condizioni di luce, oppure in un interno se qualcuno entra in una stanza buia ed accende la luce si ha un cambiamento delle condizioni di illuminazione. Tutto questo però è sempre legato a delle azioni precise. In Nostalghia si è ampliato questo discorso, a delle variazioni di luce ‘naturali’ si sono aggiunte delle variazioni che non rispondevano più a nessuna logica ma a delle motivazioni emozionali…

Nostalghia

Sono stati adottati degli accorgimenti tecnici particolari in funzione di questi cambiamenti emotivi ?

In fase di ripresa è stato utilizzato un mezzo meccanico posto davanti ai proiettori – una serie di lamelle metalliche imperniate su un telaio – per variare l’intensità luminosa senza modificare la temperatura di colore, mentre invece c’è stato un intervento tecnico più marcato dopo le riprese, perché il film è stato stampato con un sistema chiamato ENR presso lo stabilimento Technicolor di Roma. Con il procedimento ENR ho potuto desaturare al massimo i colori ed aumentare il contrasto delle scene, anche se questo mi ha costretto a stampare su positivo colore anche le sequenze girate in bianco e nero.

Durante alcune sequenze avete utilizzato anche diverse velocità di ripresa, a volte quasi impercettibili….

Nel corso delle riprese Andreij ci chiedeva per determinate inquadrature un’aumento della velocità di ripresa molto leggera, che non si avvertisse, e quindi lontana da quell’effetto rallenti che certo cinema ci aveva abituato a vedere. Questo solamente per avere una maggiore sospensione, quindi sempre in funzione di una certa atmosfera nel film. Tecnicamente questa variazione della velocità comportava un leggero aggiustamento di diaframma…Andreij era molto preciso ed esigente nelle scelte di fotografia, tuttavia sia io che l’intera troupe eravamo così impressionati dalla sua personalità da assecondarlo volentieri in tutte le sue richieste.

Nostalghia

Nel corso del seminario si è lamentato del fatto che è sempre più difficile girare in Italia un film con una fotografia curata. Per quale motivo?

Principalmente per il rispetto della professionalità che in Italia non c’è più. Nei pochi film che ho girato con troupe e produzioni straniere ho trovato infatti un rispetto per la professionalità nettamente maggiore… poi c’è sicuramente la mancanza di preparazione, perchè se i film non sono preparati va a finire che quando si gira tutto finisce per essere improvvisato. Un altro motivo è la compressione dei tempi di ripresa, perché se giri un film in dieci settimane o in cinque il risultato è poi chiaramente differente…Con l’avvento del montaggio digitale poi si tende a passare tutto il negativo al telecinema e poi in AVID, senza stampare i cosiddetti ‘giornalieri’ che sono a mio avviso molto importanti per controllare eventuali problemi tecnici. E’ accaduto in un film girato all’estero che un’intera scena è stata rigirata completamente perché solo in montaggio ci si è accorti di un grave problema di esposizione…

Ma al di là di questioni meramente tecniche, perché i film italiani non sono più curati come una volta?

Forse manca proprio un po’ di amore per il cinema… il problema è che produttori intesi come una volta, cioè gente che investiva su un progetto a cui tenevano adesso non c’è più, non c’è più quella figura che ama tanto il film da volere che sia fatto il meglio possibile. Sono delle operazioni per cui si cerca di fare il film pensando solo al budget, delle volte non importa nemmeno se viene bene o male…

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